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Daruma. La bambola dei desideri

Avete un obiettivo che volete fortemente raggiungere? Un desiderio che volete realizzare ad ogni costo? Allora il Daruma è quello che fa per voi. Già, direte voi, ma cos’è questo Daruma? Il Daruma non è altro che una figura di cartapesta, una bambola tradizionale giapponese, simbolo di successo e perseveranza. 

Questo amuleto di buona fortuna risale al V – VI secolo. Si tratta di un simbolo di tenacia di fronte alle avversità ed ha una forma rotonda, priva di braccia e gambe, ed un aspetto vispo e simpatico con grandi occhi e baffi voluminosi.

L’obiettivo al centro.

Ma in che modo questa bambola aiuterebbe a raggiungere un obiettivo o un desiderio? Innanzitutto, bisogna definire l’obiettivo da conquistare che deve essere chiaramente raggiungibile e, soprattutto, quantificabile (La pace nel mondo è un nobile obiettivo ma poco realistico da raggiungere). Dobbiamo avere bene a mente cosa vogliamo perché ogni volta che ci troveremo di fronte a questa bambolina lo scopo da perseguire dovrà tornarci alla mente in un istante.

Daruma

Prendiamo la nostra Daruma e dipingiamo uno dei due occhi di nero. Con quest’azione ci impegniamo concretamente a raggiungere il nostro scopo.

Dopo aver dipinto un occhio bisogna collocare la bambola in un posto ben visibile così da avere ben chiaro, ogni volta che il nostro sguardo incrocia quello della Daruma, che stiamo lavorando per raggiungere un obiettivo.

Il concetto che è alla base di questa credenza è abbastanza semplice. Si crede che all’interno della bambola ci sia un dio che è stato privato della vista. Disegnando il primo occhio si comincia a dargli la vista ma è solo dopo aver raggiunto con perseveranza e determinazione l’obiettivo prefissato che è possibile disegnare anche il secondo occhio così da poter restituire completamente la vista al dio intrappolato all’interno della bambola.

La tradizione vuole che il Daruma sia bruciato dopo un anno, a prescindere dall’ottenimento dell’obiettivo, in quanto si crede che il potere del manufatto sparisca dopo un anno.

Un’antica leggenda

Successo, buona sorte e costanza sono simboli che la cultura giapponese ha associato a questo portafortuna. Ma la storia di questa bambola affonda le radici in un’antica leggenda che vede come protagonista il monaco Daruma Bodhidharma, a cui si deve la creazione e la diffusione del buddismo Zen in Giappone e la nascita del Kung-fu Shaolin.

Questo monaco, originario dell’India e vissuto tra il V e il VI secolo, è presente in diverse leggende e questo fa delle sue origini e della sua vita un mistero. Quella che ci interessa è però la leggenda che vede Bodhidharma intento a meditare immobile in una grotta per nove anni di seguito alla ricerca dell’illuminazione.

Durante questa sua meditazione il monaco, caparbio e rigoroso, perse l’uso delle gambe e delle braccia e, in un momento di debolezza, si addormentò. Al suo risveglio, arrabbiato per il proprio comportamento, si strappò le palpebre affinché non succedesse più e le scagliò a terra

Da esse germogliarono delle foglie capaci di allontanare il sonno: era nata la pianta del tè.

La bambola è un omaggio alla caparbietà del monaco che simboleggia la tenacia e la capacità di superare le avversità. Un’idea rafforzata dalla particolare forma tonda della bambola che ha la particolarità di non cadere mai: se spinta di lato, ritorna immediatamente in posizione eretta.

Daruma simbolo di buona sorte

La messa in commercio della bambola Daruma inizio nel 17° secolo, dai contadini di Takasaki, nella prefettura di Gunma. Realizzarono a mano le bambole Daruma come simbolo di buona fortuna per il loro raccolto.

Oggi le bambole Daruma sono entrate nell’uso comune della società giapponese e sono molto apprezzate come decorazione d’interni in stile giapponese. Nel nostro negozio è possibile trovare molti articoli ispirati a questa bambola oltre, ovviamente, alla Daruma tradizionale.

E voi siete pronti per realizzare il prossimo desiderio?

Katsushita Hokusai, la grande onda e le 36 vedute.

Katshusita Hokusai. Questo nome non vi è nuovo? Cosa vi ricorda? Ve lo diciamo noi visto che ne abbiamo già scritto nell’ultimo post pubblicato che aveva come argomento principale i fumetti giapponesi, i famosissimi Manga di cui Hokusai è indicato, all’unanimità, come il precursore grazie alle sue stampe in stile Ukiyo-e, raffiguranti scene di vita quotidiana, ed alla sua opera “Hokusai Manga” costituita da bozzetti pubblicati in tredici piccoli volumi, dal 1814 al 1849, dove l’artista illustrava scene di vita quotidiana con personaggi e animali ripresi in pose insolite. In realtà lo scopo di questi bozzetti consisteva nello studio sui movimenti del corpo.

Ma la produzione artistica di Hokusai, pittore ed incisore di grandissimo talento, abbracciava anche la pittura tanto che l’artista giapponese è considerato come uno dei pittori più celebri della storia, in grado di ispirare profondamente anche numerosi artisti occidentali, perlopiù appartenenti alla categoria degli impressionisti e posto impressionisti come Claude Monet, Vincent Van Gogh e Paul Gauguin.

L’uomo dai tanti nomi

Katsushita Hokusai, il cui nome, uno dei tanti come vedremo, significa “Stella Polare”, nacque nel 1760 e, nel corso della sua vita, attraversò un periodo di profondo rinnovamento in Giappone con il passaggio dal periodo degli Shogun a quello della restaurazione Meiji. Ricostruire tutte le opere realizzate in oltre sessanta anni di produzione artistica è davvero un compito particolarmente difficile anche perché, i biografi del grande maestro, hanno dovuto fare i conti con una consuetudine davvero particolare, diffusa non solo nel mondo dell’arte, che era quella di cambiare il proprio nome a seconda delle svolte della vita. Un costume davvero curioso con cui gli artisti giapponesi volevano sottolineare i loro cambiamenti nello stile di vita o nel pensiero.

Ad ogni modo, nella sua vastissima creazione artistica, caratterizzata all’incirca da un migliaio di opere, Hokusai ebbe modo di confrontarsi con una vasta varietà di temi e di soggetti anche se quelli a lui più congeniali, erano le scene di vita quotidiana, i paesaggi naturalistici che comprendevano anche meravigliose opere su fiori ed animali.

Lo stile di Hokusai era una perfetta unione tra la tradizione giapponese, caratterizzata da linee eleganti e suggestive e la modernità occidentale con la sua prospettiva lineare e il chiaroscuro. fu una felice sintesi tra le tradizioni formali sino-giapponesi, linee eleganti e suggestive, e le novità occidentali, la prospettiva lineare e il chiaroscuro: la Grande onda (1830-1831), della serie delle “Trentasei vedute del Monte Fuji” (1826-1833) ne è l’esempio più significativo.

La grande onda di Kanagawa

La grande onda di Kanagawa è una delle immagini più conosciute al mondo. Una stampa xilografica, ovviamente in stile Ukiyo-e, che appartiene alla serie delle Trentasei vedute del monte Fuji. Tre sono gli elementi principali che si possono notare osservando questa opera. Innanzitutto, la grande onda, in primo piano, enorme, immensa, travolgente, a raffigurare la potenza della natura nei confronti dell’uomo, rappresentato dalle imbarcazioni che stanno per essere colpite dalla furia dell’onda, con il monte Fuji che, in lontananza, sembra osservare indifferente quello che sta accadendo.

Tante sono le interpretazioni date a questa opera in cui la natura domina decisamente sull’uomo anche se, come possiamo notare osservandola, è Hokusai a dominare la natura come scrive Francesco Morena nel suo libro “Hokusai” «È un’immagine ormai entrata nell’immaginario collettivo del mondo intero. In essa si sublima la potenza della natura; si enfatizza l’arte dell’uomo Hokusai, che invece riesce a dominare la natura, attraverso un segno grafico aggressivo e maestoso e la scelta di una colorazione elegante e non pervasiva».

La grande onda di Kanagawa è senza dubbio l’opera più famosa della raccolta Trentasei vedute del Monte Fuji, una serie di stampe in stile ukiyo-e realizzata dall’artista giapponese tra il 1826 e il 1833. Il monte Fuji è il soggetto di questa raccolta di 46 xilografie policrome. Alle prime 36, incluse nella pubblicazione originale, ne furono poi aggiunte altre 10.

Sul nostro sito è possibile trovare, a tema Hokusai, una serie di prodotti che raffigurano la Grande Onda ed altre vedute di questo incredibile artista.

Antico teatro giapponese

L’antico Teatro Noh

Nella cultura giapponese la trasmissione nel tempo di consuetudini, usi e costumi è davvero molto sentita. Il popolo del “Sol Levante” va fiero delle proprie tradizioni e delle usanze più antiche tanto che oggi sono conosciute, studiate ed apprezzate in tutto il mondo.

Nel 2003 il teatro No, che spesso troviamo trascritto anche come Noh, forma di teatro tradizionale giapponese, è stato dichiarato patrimonio UNESCO riconoscendo così a questa arte giapponese un indubbio valore universale.

C’è da dire che il Noh è un genere teatrale completamente diverso da quello occidentale sia per il suo stile recitativo che per i contenuti espressi. Questo deriva dal fatto che le sue radici provengono dal Sarugaku, forma di teatro popolare che veniva messo in scena presso i luoghi di culto da compagnie di artisti.

A fondare questo genere teatrale fu il drammaturgo Kan’ami nel XIV secolo anche se la diffusione di questo tipo di performance si deve al figlio Zeami che la sviluppo codificandone la simbologia ed i movimenti. Di grande aiuto fu il patrocinio dello shōgun Ashikaga no Yoshimitsu che rimase colpito dal talento del giovane Zeami e lo finanziò nella diffusione di questa forma teatrale che unisce canto, danza e recitazione per raccontare storie di divinità e spettri.

Un palco quadrato e pochi attori

Ma come si svolgono questi drammi?

Palcoscenico teatro Noh

Iniziamo col dire che il palcoscenico del Teatro Noh è molto particolare. Un palco quadrato è sovrastato da una tettoia in legno e, sullo sfondo, è sempre dipinto un classico pino giapponese a ricordare l’albero del Santuario di Asuka dove venne allestito per la prima volta il dramma Okina, prima rappresentazione di teatro Noh. Il pavimento del palcoscenico, lucidato con cura, deve consentire agli attori di danzare senza che i piedi facciano attrito.

Sul palco recitano pochissimi attori che, per caratterizzare i personaggi, usano delle meravigliose e particolari maschere chiamate “Nohmen”. Lo Shite è l’attore principale, unico ad indossare le maschere, anche se con qualche eccezione, mentre il Waki, attore di spalla, non usa la maschera. Gli Hayashi, quattro suonatori con flauti e tamburi, accompagnano l’esibizione.

Uno schema ben preciso caratterizza in genere gli spettacoli del teatro Noh che si apre con un viaggiatore, un monaco od un pellegrino, che s’imbatte in un abitante del luogo che gli racconta la storia del posto per poi rivelare che è lui l’attore principale, lo Shite, che si esibisce in una danza simbolica.

Il repertorio Noh conta di circa 250 rappresentazioni che possono avere come tema centrale divinità, guerrieri, donne, demoni o altro e lo spazio scenico è considerato come una sorta di luogo intermedio dove il mondo degli umani e quello divino s’incontrano.

In netta contrapposizione con gli spettacoli seri ed abbastanza complessi del teatro No spesso l’esibizione viene preceduta da una rappresentazione comica di carattere popolare, detta Kyogen, che viene eseguita dagli stessi attori utilizzando una mimica semplice ed un linguaggio spontaneo.

Le maschere del Teatro Non

Maschera Noh

Ma a rendere davvero particolari queste esibizioni sono le maschere usate dagli attori che sono delle vere e proprie opere d’arte. Le maschere del teatro Noh, utilizzate fin dal XIV secolo, sono diventate sempre più sofisticate. Realizzate da maestri artigiani, chiamati No-men-shi, sono delle opere straordinarie, molto dettagliate in grado di trasmettere informazioni cruciali sul personaggio che esse rappresentano. La direzione degli occhi, la curvatura delle labbra, la tonalità del colore sono studiate per trasmettere emozioni.

Gli attori che le indossano hanno l’abilità di far cambiare espressione al personaggio che interpretano grazie ai loro lenti movimenti con cui sono in grado di cambiare espressione a seconda di come la luce colpisce queste maschere che giocano, quindi, un ruolo estremamente importante nel trasmettere caratteri e temi delle rappresentazioni.

Costruite in legno laccato queste meravigliose maschere rappresentano uomini, donne, fantasmi, divinità, demoni e ad ognuno viene assegnata una espressione diversa ma congeniale a ciò che il personaggio deve trasmettere. La maschera Okina, ad esempio, raffigura un vecchio e viene usata solo per la rappresentazione del dramma Okina.

Naturalmente anche i vestiti di scena hanno la loro importanza e costituiscono, al pari delle maschere, parte integrante del personaggio. Alcune scuole Noh tramandano il loro guardaroba da centinaia di anni e alcuni costumi sono dei veri e propri reperti storici.

Oggi il teatro Noh è considerato un tesoro culturale ed artistico da tramandare alle nuove generazioni grazie a vere e proprie scuole ed anche se questa forma di arte è difficile da comprendere, soprattutto per gli occidentali che non conoscono la lingua e i miti giapponesi, non c’è dubbio che le musiche, i costumi e l’interpretazione degli attori con le loro maschere, sappiano creare un’atmosfera molto suggestiva da ammirare almeno una volta nella vita.

L’antica cerimonia del tè giapponese

La cerimonia del tè in Giappone è un rito antichissimo, che oggi è ancora diffusamente praticato e studiato. Si tratta di una cerimonia affascinante legata alle pratiche di meditazione e contemplazione proprie della disciplina zen. La semplice preparazione di una bevanda per gli ospiti diventa una forma d’arte che, attraverso precisi movimenti, assume una coreografia molto intima e definita. La preparazione di questa bevanda è stata perfezionata nei secoli per ottenere il miglior bilanciamento di gusto dall’infusione, senza tralasciare la componente spirituale di questa cerimonia, il cui scopo è di tendere alla pace interiore in un processo di raccoglimento e di riflessione.

La Storia

La cerimonia del tè ha origine in Cina, dove questo infuso era utilizzato con scopi medicinali, ma anche come coadiuvante nella meditazione. Nel X secolo furono i monaci buddisti ad importare il tè nell’isola del Sol Levante, proprio per il collegamento che si era creato tra il rito della preparazione del tè e la quotidianità dei monaci buddisti: infatti, grazie al contenuto di teina, bere tè aiutava i monaci nelle faticose pratiche meditative che avevano lo scopo di portarli verso l’armonia e la pace interiore.

Questo rito è considerato una vera e propria arte, una pratica zen riconosciuta che avviene con movimenti ben precisi e codificati, al pari di una danza. Pensate che, secondo i maestri di questa disciplina, sono necessari 10 anni di studio per apprendere alla perfezione tutti i 37 passaggi della cerimonia, rimasti immutati nel corso dei secoli.

I tre maestri

Il perfezionamento del rituale del tè è il risultato degli sforzi di tre grandi maestri, consiglieri degli shogun. Murata Shuko (1423-1502) era un monaco zen che divenne un mercante di tè. Secondo Shuko, la preparazione e la consumazione del tè richiedevano semplicità ed essenzialità sia negli strumenti che nello spazio in cui si svolge il rituale, che doveva essere privo di ogni distrazione.

La filosofia del monaco buddista Takeno Joo (1502-1555) affondava ugualmente le sue radici nella semplicità zen e nell’umiltà, in continuità con il rito di Shuko. Tuttavia, fu Sen no Rikyu (1522-1591), discepolo di Joo, ad avere l’influenza più profonda sul rito del tè. Ancora oggi le sue linee guida sugli utensili da usare, sulle procedure e sull’architettura della casa da tè sono la base per imparare “la via del tè”.

Uno dei cambiamenti più radicali apportati da Rikyu fu quello di abbassare l’altezza dell’entrata della casa da tè per far sì che ogni ospite dovesse abbassarsi per entrare. Egli, infatti, era dell’idea che ogni partecipante alla cerimonia fosse uguale all’altro, senza distinzioni sociali, un’idea rivoluzionaria e coraggiosa se si pensa al rigido sistema gerarchico del Giappone dell’epoca. Inoltre, era importante che gli ospiti passassero attraverso un giardino zen prima di giungere alla sala della cerimonia, in modo da rasserenare lo spirito in preparazione all’esperienza.

La Stanza del Tè

donna in kimono serve il te

La cerimonia del tè viene eseguita in uno spazio ben preciso chiamato stanza del tè, anticamente una capanna a sé stante costruita con legno e paglia. Questo era uno spazio piccolo, arredato secondo l’estetica zen, poco illuminato e studiato per limitare il più possibile le distrazioni e favorire la concentrazione. Tutto deve richiamare canoni di eleganza, armonia e tranquillità, per aiutare a liberarsi delle preoccupazioni della vita quotidiana.

Nella cerimonia viene utilizzato il tè matcha, molto pregiato, costituito da una polvere finissima ricavata dalla macinazione delle foglie di tè.

Un rituale sacro

La cerimonia del tè giapponese è un rituale sacro che si svolge in silenzio, con il maestro che, attraverso movimenti studiati delle mani e una forma ben codificata, conferisce spiritualità al momento. Gli invitati, per accedere alla stanza del tè, devono prima lavare le mani per purificare il proprio corpo. A questo punto possono entrare ed essere accolti dal teishu, il maestro incaricato al rito del tè, che lo prepara con movimenti precisi e appositi strumenti, sempre rigorosamente inginocchiato sul tatami. Tutti i partecipanti , anch’essi sul tatami, sono invitati ad ammirare gli oggetti utilizzati, la stanza ed i dolci, che saranno consumati prima di assaporare il tè.

Cerimonia del te

Ogni ospite, seguendo un preciso rituale, prende il ‘Chawan’, la tazza del tè, e la ruota un numero specifico di volte, per poi gustare la bevanda a piccoli sorsi. Successivamente, pulisce il bordo della tazza e la restituisce al teishu. Una volta che tutti hanno bevuto, viene offerta l’opportunità di osservare gli utensili utilizzati, in linea con il principio zen che invita a prestare attenzione a ogni dettaglio.

Tra gli utensili utilizzati nella cerimonia del tè troviamo il Chaki, che è il recipiente per il tè, la Chakin, la salvietta usata per asciugare la tazza dopo che è stata lavata, il Chasen, l’utensile in bambù usato per mescolare il matcha all’acqua, il Chashaku, il cucchiaino in bambù usato per dosare il tè, il Chawan che è la tazza dove si beve il tè ed il Kama, il bollitore per l’acqua. Ovviamente, a seconda della complessità della cerimonia, possono essere usati un numero maggiore di oggetti. Sul nostro sito si possono trovare teiere di grande fascino.

Partecipare ad una cerimonia del tè è un’esperienza unica

La cerimonia del tè esiste in molte varianti, alcune più complesse e scenografiche, e su YouTube è possibile vedere a grandi linee come si svolge questo rito, anche se parteciparvi è ben diverso.

Partecipare ad una cerimonia del tè vuol dire vivere un momento di grande benessere interiore, un’esperienza da cui si esce rinnovati e pieni d’energia.

Kokeshi: Le affascinanti bambole giapponesi senza braccia e senza gambe.

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Attenzione a chiamarle semplicemente bambole perché le Kokeshi sono delle vere e proprie opere d’arte. Di cosa stiamo parlando? Ma delle stupende bamboline tradizionali giapponesi che tanto successo stanno riscuotendo in tutto il mondo e, ovviamente, anche qui da noi in Italia. Queste bambole, all’apparenza molto buffe, presentano in realtà una fine armonia tra design lineare e colori vivaci, grazie alla quale riescono a rendere le case che decorano più accoglienti ed eleganti. In realtà, le Kokeshi giapponesi sono simboli di buona fortuna e amuleti apotropaici, e regalarle è un gesto di grande amicizia ed affetto.

Pezzi unici ed irripetibili

Dietro ad ogni Kokeshi, la cui caratteristica più evidente è la mancanza di braccia e gambe, c’è un lavoro di grande maestria che rende queste bambole dei pezzi unici e irripetibili. Ogni bambolina è infatti realizzata a mano a partire dal legno grezzo (generalmente si usa legno mizuki, legno di cedro, di acero giapponese o di ciliegio) e lavorata con grande perizia dai maestri artigiani che, grazie all’utilizzo di un tornio, scolpiscono il corpo cilindrico e la testa separatamente, per poi unirle attraverso una spina, sempre di legno, che dà alla struttura la classica forma. Ma la vera magia si compie con la decorazione della bambolina, che viene dipinta con colori vivaci e con motivi principalmente geometrici e floreali. Nulla viene lasciato al caso, e i dettagli sono curati nei minimi particolari. Alla fine della lavorazione uno strato di cera viene utilizzato per ricoprire la bambola allo scopo di proteggerne i colori e renderla più lucida.

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Ad ogni regione la propria Kokeshi

Le bambole Kokeshi nascono nel nord del Giappone durante il periodo Edo (1603 – 1860), più precisamente nelle province di Sendai e Miyagi, nella regione del Tohoku, nota per i suoi stabilimenti termali. Proprio per la vicinanza alle sorgenti calde è dovuta la diffusione della bambola tradizionale giapponese. Infatti la storia narra che, durante l’inverno, molte persone si recassero alle sorgenti per poi far ritorno a casa con queste bambole, create dai falegnami artigiani del luogo, da portare ai loro figli.
Ad oggi le bambole Kokeshi hanno diverse varianti e stili che, pur conservando la caratteristica di non possedere gambe e braccia, differiscono tra loro per forma e colorazione. Le Kokeshi della regione del Tohoku, ad esempio, sono tradizionali, dal design semplice e con colori vivaci e motivi floreali e geometrici. Il corpo snello ed il lungo collo sono invece tratti distintivi delle Kokeshi della regione di Naruko, le cui parti mobili consentono di produrre un suono caratteristico. Le Kokeshi della zona di Kijiyama hanno invece un design minimalista con linee molto fini, e sono dipinte in colori pastello.

Felicità e gioia per chi la riceve

Regalare una bambola Kokeshi è un modo per augurare a chi la riceve felicità e gioia ma, senza dubbio, la presenza di queste bambole sugli scaffali delle vostre case contribuisce a rendere più bella ed allegra l’atmosfera. Non ci credete? Allora date un’occhiata alla sezione Kokeshi del nostro shop online, dove certamente potrete rendervi conto della bellezza e dell’unicità di queste opere d’arte artigianali.


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